I NOTTAMBULI di EDWARD HOPPER
Edward Hopper (1882 -1967), Nighthawks (I nottambuli) – 1942,
olio su tela, 84.1 x 152.4 cm – Chicago, Art Institute of Chicago.
Edward Hopper, I nottambuli (particolare)
COMMENTO CRITICO DELL’OPERA
Hopper ideò
l’opera nel 1941 abbozzandone uno schema su un quadernino, su cui annotò anche
alcune caratteristiche dell’ambientazione e dei personaggi, indicandone pure il
nome, Nighthawks, che letteralmente significa
falchi notturni. L’ispirazione, come affermano alcuni, la trasse da un
racconto di Hemingway. Oppure, come egli stesso ammise, da un ristorante allora
esistente e poi demolito, sito nel Greenwich Village, a Manhattan
– a Mulry Square, esattamente, una zona oggi totalmente ristrutturata –,
messo all’incrocio di due strade. In fase di stesura, egli stesso posò per il
personaggio dal naso adunco (che ricorda il becco d’un falco) e per il
banchista, mentre per la donna vicino a lui posò la moglie Josephine, la quale
ce ne dà conferma in una lettera spedita alla sorella del pittore, quando il
quadro era ormai completato.
Ne I nottambuli la scena è vista dall’esterno del locale, dal largo marciapiede, in studiatissima prospettiva accidentale. Il punto di vista è accortamente scelto dall’artista per ottenere un’esatta definizione dello spazio urbano e, nello stesso tempo, una chiara descrizione dello spazio del locale, del tutto visibile attraverso l’ampia vetrata trasparente. Interno ed esterno sono quindi interdipendenti e imprescindibili, formando un unico e inscindibile scenario pittorico, ove sono sistemate le figure. Il centro del dipinto è costituito dal lungo bancone angolare di radica di ciliegio, dello stesso angolo delle pareti esterne. Intorno al bancone sono posizionati degli sgabelli, su tre dei quali siedono tre avventori, uno posizionato di spalle e due di fronte, l’uno accanto all’altro, in coppia. Il cameriere, dall’altra parte del banco, è visto di profilo, e sta scambiando qualche parola di circostanza col personaggio incappellato col naso ricurvo. Ha appena servito i tre nottambuli, si vede dalle tazze che hanno davanti, e ora sta pulendo il ripiano, o sta sciacquando qualche stoviglia nel lavandino. È tardi, la mezzanotte è passata da un pezzo, l’ora della chiusura è vicina. Si capisce, perché di fuori è un deserto, non circola un’anima, le luci alle finestre sono tutte spente. Sul quartiere è calato il silenzio magico della notte. Dalla tavola calda una giallognola luminosità artificiale rimbalza sui pochi arredi, sui lineamenti e sui corpi dei personaggi, in un effetto di netto contrasto luce-ombra. La luce giallastra fuoriesce dal locale e inonda il marciapiede e l’asfalto, i muri dei fabbricati intorno, accentuando la desolante immobilità. Ma in un calcolato e corposo colorismo, fatto essenzialmente di rossi o marroni che si abbinano ai verdastri e ai blu, in un buon dosaggio di complementari. Dentro, il personaggio di spalle, ha davanti una tazza vuota, e pensa ai fatti suoi. È immerso nella sua solitudine e non si cura di ciò che gli accade intorno, il suo sguardo cade sul bicchiere che ha in mano, e sul bancone, su cui sono sparse poche cose: qualche contenitore di tovaglioli, una zuccheriera, qualche tazza o bicchiere, delle saliere. Anche questi pochi oggetti, ordinari e insignificanti, accentuano il senso di distacco che c’è tra i personaggi, di cui risente anche la coppia. Pur stando vicini, l’uomo e la donna sono alquanto non comunicanti tra di loro. Ognuno è paludato nei propri pensieri, ognuno è solo nella notte. In Nighthawks, ma pure in moltissimi altri dipinti, come ha affermato lo stesso autore, non è vi evidenziata solamente la solitudine dei tiratardi, ma la solitudine dell’America stessa.
I nottambuli è sicuramente uno dei lavori meglio riusciti di Edward Hopper, in cui sono compiutamente presenti tutti gli elementi che contraddistinguono il suo stile, ossia: una precisa resa dello spazio reale, con un ben calcolato uso della prospettiva; l’uso risolutore della luce, con chiaro contrasto tra le parti illuminate e le parti in ombra, con assoluta assenza di qualsiasi linea di contorno; un pulito effetto realistico, che non è il realismo tout-court; il saper riferirsi all’occorrenza allo stile di Piero della Francesca in una visione, però, in tutto e per tutto modificata, adattata al suo pensiero e ai suoi temi, costituiti da ordinari e alle volte trascurati contesti di vita americana, entro cui si muovono personaggi altrettanto normali e trascurati. La visione di Hopper coincide abbastanza con quella di Degas, con la scelta del punto di vista sempre in modo apparentemente casuale, cinematografico, e interno allo spazio dipinto, proprio di chi osserva senza essere notato.
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