IMBARCO PER CITERA di Antoine Watteau
Imbarco per Citera di J. A. Watteau (1718 - 1719), Olio su tela, 129 x 194 cm, Berlino, Castello di Charlottenburg.
Imbarco per Citera è uno dei capolavori assoluti di Jean-Antoine Watteau, diventato celebre come il pittore delle feste galanti. In questo dipinto infonde quella particolare atmosfera che caratterizzò la vita aristocratica dell’ancien regime, e che Talleyrand definì “la dolcezza del vivere”. Colori chiari e trasparenti sono condotti con una pannellata rapida e luminosa che lega in una composizione fluente tutti gli elementi del racconto. (Federico Zeri)
Pellegrinaggio per Citera di J. A. Watteau (1717) Olio su tela, 194 x 129 cm, Parigi, Museo del Louvre.
Watteau è riuscito nelle figure di piccolo formato che disegnava e raggruppava bene; ma non ha mai fatto nulla in grande, dato che non ne era capace. (Voltaire)
ANALISI DELL'OPERA
Del dipinto esistono due versioni. La prima è conservata al Louvre di Parigi, la seconda, quella di cui sto trattando si trova a Berlino, nel Castello di Charlottenburg. Ed è, secondo il mio pensiero, quella più movimentata e ricca di personaggi. Che, quindi, meglio rappresenta la visione pittorica e il pensiero di Antoine Watteau.
Il soggetto è ispirato alla commedia in tre atti di Florent Carton Dauncourt, Le trois cousines, rappresentata per la prima volta nell’ottobre del 1700. In un suggestivo, lussureggiante e favolistico scorcio di paesaggio, inondato da una luce calda e inebriante, si muovono una gran quantità di personaggi. Sono coppie di dame e gentiluomini che, gaiamente e senza fretta alcuna, rallegrati da un gran quantità di amorini che volteggiano loro intorno, si avviano verso un battello condotto pure da amorini festanti, che li attende ormeggiato alla riva del mare, per condurli all’isola dell’amore. Il dipinto, sicuramente, va letto da destra verso sinistra. Infatti i vogliosi gaudenti, uomini e donne, entrano in scena proprio da destra, accolti dall’esultanza degli amorini, come se avessero attraversato un segreto sentiero tracciato nel bosco, giungendo infine nello squarcio altrettanto segreto e incantato di un porticciolo marino, denotato da una statua della dea Venere. Da quel nascosto e piccolo angolo di paradiso terreno le coppie di amanti, già soggiogati dal desiderio, si avviano all’imbarco, in una gaia e ondeggiante sfilata di corteggiatori e corteggiate, in un tripudio di sensualità e un manifesto invito a godere la vita. Al magico imbarcadero è ormeggiato un prodigioso veliero, governato da esuberanti amorini svolazzanti, che condurrà gli innamorati in un onirico luogo di oblio e di lascivia. Ogni particolare del dipinto, un vero e proprio inno all’amore, trasuda vitalismo e sensualità, sottolineato da un colorismo caldo e luminoso, da un moto vorticoso dei personaggi e della natura che sta loro intorno, ridondante e chiassosa, anch’essa quasi partecipe all’eccitata dipartita. In ogni minimo particolare si intravede pienamente lo spirito del tempo. Quello futile e annoiato dell’ancien regime, che cerca nello svago, nell’erotismo e nell’evasione, nell’edonismo elegante e ciprioso, una goffa e conveniente ragione di vita. Di tutto ciò, a mio modesto parere, Watteau è perfettamente istruito. Così mentre inventa compiaciutamente di queste favole, parallelamente ne sviscera e ne rimanda ai posteri la vacuità. Rappresenta il suo tempo, e in questo è grande, Watteau. Convinto, evidentemente, che la nobiltà cui si riferisce, frivola e inoperosa, faccia parte di un modello di società incrollabile. In quel momento, egli è assolutamente ignaro dell’inarrestabile ascesa della borghesia illuminista verso il disfacimento di quel cerimonioso assetto aristocratico di cui celebra le allegre consuetudini.
Imbarco per Citera di J. A. Watteau, particolare.
Vita in breve di Watteau.
Watteau nasce nel 1684 a Valenciennes. Nel 1702 si trasferisce a Parigi. Dal 1703 al 1708, studia e lavora nell’atelier di Claude Gillet, specialista in scene teatrali. Nel 1712 viene ammesso all’Accadémie Royale de Peinture. Dal 1719 all’anno successivo è a Londra. Muore nel 1721 a Nogent-sur-Marne, all’età di 37 anni.
Appendice: Il mito di Venere e della sua nascita.
Citera – l’odierna Cerigo – è una piccola isola situata lungo la costa del Peloponneso, sul cui arenile, stando ai racconti mitologici, sarebbe giunta Afrodite, emersa nuda dalla spuma del mare. Difatti la dea veniva pur chiamata Citerea, così come anche Eros veniva chiamato Citereo. Su Citera, considerata isola dell’amore, era ubicato un tempio dedicato proprio ad Afrodite Urania.
Afrodite, il cui nome deriva da aphor, schiuma, con il chiaro riferimento alla sua nascita dalla schiuma del mare, è la divinità greca dell’amore, identificata in seguito nella mitologia romana come Venere. Ma la sua origine è indubbiamente fenicio-babilonese. Infatti, come ci informa Erotodo, il primo santuario della dea Afrodite Urania era situato ad Ascalona in Fenicia, prima che a Cipro, ove ne localizza la nascita e l’appartenenza Omero ed Esiodo, il quale narra che la dea sarebbe nata nelle acque prospicienti l’isola.
Nell’area del Mediterraneo occidente, il luogo di culto più importante della dea era sicuramente il santuario punico di Tanit, dea dell’amore e protettrice di Cartagine, cui si sacrificavano fanciulli. Esso si trovava sul monte Erice in Sicilia. Nel tempio si praticavano riti di fecondità e la prostituzione sacra. Dalla Sicilia il culto della dea si diffuse fino a Roma, ove veniva adorata con il nome di Venus Erycina.
In Grecia Afrodite, da dea orientale della fecondità, si combina col culto di una antica divinità locale legata piuttosto alla terra. In Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione. Per Esiodo la dea appartiene completamente al mondo greco. Infatti, egli racconta che Crono recise il membro del dio del Cielo, Urano, impegnato in un amplesso con la Terra. Il fallo mozzato, galleggiando sulle onde si tramutò in candida spuma, da cui si generò la creatura divina. Il racconto potrebbe continuare coi versi di Omero (VI Inno):
La potenza di Zeffiro, l’umido stormitore,
duttile la rapì dalle onde del mare che sempre scroscia.
Le Ore dal diadema d’oro la ricoprirono di vesti
Immortali, il capo le cinsero dal serto d’oro mirabilmente intrecciato...
Dove le Ore sono: Eunomia (ordine), Dice (giustizia) e Irene (pace) sono figlie di Zeus e Temi ed erano preposte all’ordine della Natura nell’alternarsi delle stagioni.
Giacché era nata dal mare, Afrodite era venerata dai naviganti, non come Poseidone, ma come la divinità che rende il mare calmo e navigabile. Ma Afrodite non tramuta bello e tranquillo il mare soltanto, ma fa divenire bella e feconda anche la terra. Ella, pertanto, è pure la dea della primavera e, come tale, sospinge all’amore, venendo implicitamente associata al matrimonio, pur non rappresentando propriamente l’unione coniugale, di cui è protettrice Giunone. Alla dea Afrodite, o Venere, sono sacre il mirto, il melograno, la rosa, nonché la mela, primordiale frutto dell’amore.
L’esatta iconografia della dea corrisponde a quella di una fanciulla di straordinaria bellezza, col corpo avvolto da rose e da ramoscelli di mirto, adagiata su di un carro trainato da passeri, cigni e colombe. Ella è fasciata da una cintola portentosa che rende irresistibilmente seducente chiunque lo indossasse, dato che vi è intrecciato ogni incantesimo d’amore.
Afrodite è seguita dalle Grazie e dai geni della cupidigia e della persuasione: Eros, Peito e Imeros. Come riferisce Esiodo, suoi erano il chiacchiericcio della fanciulla, l’inganno e la dolce voluttà, l’amplesso e la carezza.
Afrodite è l’assoluta personificazione della bellezza, cui Paride assegnò il famoso pomo lasciato cadere dalla Discordia sulla mensa nuziale di Peleo e Teti con sopra scritto “Alla più bella”, prediligendola a Giunone e Minerva, seppur con la promessa di avere in cambio l’amore di Elena.
Per imposizione di Zeus, Afrodite sposò Vulcano, che tradì ben presto con Marte da cui ebbe due figli: Eros (l’Amore) e Anteros (l’Amore corrisposto).
Oltre a Marte, molti altri dei furono gli amanti di Afrodite: con Dionisio ella concepì Imene e le Grazie; con Mercurio generò invece Ermafrodito; anche da Poseidone avrebbe avuto un figlio, Rodo, personificazione divina dell’isola di Rodi. Ma il suo amante preferito fu Adone, che cadde vittima della viscerale gelosia di Marte. Da un suo abbraccio con l’ero troiano Anchise nacque il pio Enea, nell’estensione romana delle sue gesta amorose. Ma Venere era anche considerata dea della fortuna, tanto che se ne invocava spesso l’intervento benevolo nel gioco dei dati.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE.
Dei e Miti, A. Morelli, Melita;
Cento Dipinti: Imbarco per Citera, Federico Zeri, Rizzoli.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
© G. LUCIO FRAGNOLI
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