IL PARNASO di ANTON RAPHAEL MENGS

 

Anton Raphael Mengs (1728-1779), Il Parnaso (1760 - 61), affresco, cm 300 x 600, Villa Torlonia già Albani, Roma. 

 

ANALISI DELL'OPERA 


Nel Parnaso, Mengs trascrive pittoricamente i principi fondamentali del “vero stile” teorizzati da Johann Joachimm Winckelmann, col quale il pittore boemo era intellettualmente in sintonia  ed in stretto rapporto di amicizia. Il primo evidente elemento stilistico presente nell’opera consiste nell’ordine dispositivo dei personaggi, collocati intorno alla figura centrale di Apolllo, dio della musica e personificazione stessa della poesia, che ne scandisce un calcolato equilibrio compositivo, con cinque delle leggiadre muse collocate alla sua destra e cinque accomodate alla sua sinistra, tutte sospese in posture differenti ed un tanto ampollose. Dietro i personaggi si può osservare un paesaggio costruito alla bisogna, secondo le esigenze compositive, tipicamente neoclassico, sereno e ospitale, complice e benevolo, in una accezione della natura in senso neoplatonico. Nella composizione è visibile l’ammirazione dell’artista  verso l’antichità classica, fonte di eccelse virtù e di dotte metafore, non disgiunte dai genuini impulsi vitali dell’uomo. Ma l’idea dominante che pervade il dipinto è quella della ricerca di una nuova bellezza e della dichiarazione dell’assunto estetico più caro all’autore: «Con l’ideale» egli annotava, «intendo ciò che si vede soltanto con l’immaginazione, e non con gli occhi; così un ideale in pittura si fonda sulla selezione delle cose più belle della natura, purificate da ogni imperfezione», quasi parafrasando l’idea di bello enunciata a chiare lettere da Raffaello: «Il pittore ha l’obbligo di fare le cose non come natura le fa, ma come ella le dovrebbe fare.» Ed infatti il tema dell’affresco è anche una sorta di omaggio al Parnaso raffaellesco della Stanza della Signatura. 

Il Parnaso di Megs anticipa e annuncia il neoclassicismo, ne è in un certo modo il “manifesto”, sebbene non esprima completamente la visione neoclassica che è, oltre che estetica, anche etica e morale. Visione che è compiutamente rivelata nel Giuramento degli Orazi, primo ed autentico quadro totalmente neoclassico.  

 

(...) Più famoso ancora a quell'epoca fu il Parnaso, un quadro più abile, che Anton Raphael Mengs eseguì nel 1761, per il salone della Villa in cui il cardinal Albani conservava la sua collezione di sculture antiche. È quasi certo che Winckelmann, che era il bibliotecario del cardinale ed era amico di Mengs (da lui considerato "il maggior artista del suo tempo e forse anche dei tempi a venire") ha contribuito alla concezione di quest'opera, in cui si ritrovano tante idee dei teorici e artisti del primo neoclassicismo. Perseguendo la "nobile semplicità e la quieta grandezza" esaltate da Winckelmann, Mengs evitò gli effetti coloristici, le soluzioni compositive strettamente intrecciate, le profonde fughe in profondità e gli accorgimenti illusionistici dei pittori barocchi: e per farlo capire chiaramente mise a fianco del Parnaso due tondi dipinti a colori più caldi, con chiaroscuro più deciso e una prospettiva a trompe l'oeil. E in innumerevoli particolari esibì la sua erudizione. Se in astratto fosse possibile possibile realizzare un capolavoro, questo ne sarebbe uno. (...)

Hugh Honour (Neoclassicismo)



DIZIONARIO MITOLOGICO:

 

Apollo: divinità più importante dopo Zeus, è nel dipinto raffigurato come dio della musica e della poesia, che allieta i banchetti degli dei e che fa dimenticare le fatiche quotidiane agli uomini. Secondo Esiodo, dal bellissimo Apollo discendono tutti i cantori e i citaristi.

Parnasomonte della Focide, al quale si sarebbe ancorata l’arca di Deucalióne, durane il diluvio universale, durato nove giorni e nove notti, assai simile a quello che vide come protagonista Noè. Il Parnaso, che dominava il santuario di Apollo a Delfi, era pertanto considerato sacro alle Muse.

Deucaliónefiglio di Prometeo, che lo aveva informato della volontà di Giove di voler purificare il mondo dall’umanità troppo corrotta, si costruì un arca in cui si chiuse con Pirra, col favore di Giove, riuscendosi infine a salvarsi insieme all’amata. 

 

IL NEOCLASSICISMO

 

Il neoclassicismo è lo stile che, nato a Roma, s’afferma a partire dal 1770 circa, e che ha come antefatto culturale quel grande movimento di idee, noto col termine di illuminismo. Gli illuministi, attraverso il libero pensiero, si proposero di  realizzare un mondo nuovo, governato da leggi ispirate all’uguaglianza sociale, cancellando per sempre i privilegi del clero e di una nobiltà inetta e in piena decadenza morale. La conseguenza storica dell’illuminismo, furono prima la rivoluzione americana e poi la rivoluzione francese. La rivoluzione francese nacque dal supremo disegno di creare una società «stabile ed armoniosa» per dirla con le parole di Isaiah Berlin «fondata su principi immutabili: un sogno di perfezione classica…» I dogmi, il rigido assetto sociale e gli arcaici privilegi dell’antico regime crollarono sotto la luce della ragione e di un idealismo intransigente. Con la stessa forza rivoluzionaria, il neoclassicismo segnò la fine del capriccioso, polveroso, sensuale e fatuo rococò. La chiarezza della ragione vinse sui mendaci e confusi artifici del dogma.

Il termine di neoclassicismo, che fu coniato alla fine dell’Ottocento in senso spregiativo, farebbe pensare ad una corrente artistica di mero e convenzionale rifacimento dell’arte greca e romana.  Fu al contrario un movimento eversivo e travolgente, che mirò a realizzare  un risorgimento delle arti, una rinnovata rifioritura artistica simile a quella rinascimentale. Gli artisti e i teorici lo chiamavano semplicemente il vero stile.

Un vento di trasformazione cominciava a soffiare nei salons parigini, rinfrescandone l’atmosfera chiusa e profumata, eliminando curve e codini rococò, soffiando via gli ornamenti delicatamente fragili: boccioli di rosa e conchiglie e cupidi incipriati con i sederini delicatamente imbellettati come le guance, tutte le figure della commedia dell’arte in posa e le altre squisite frivolezze e perversità che avevano fatto la delizia di una società di gusti difficili, ultrasofisticata… (Hugh Honour).

Il teorico del “vero stile” fu Johann Joachimm Winckelmann, il quale sosteneva che bisognava “imitare”  i grandi maestri antichi. Ma imitare non significava – secondo il suo pensiero - copiare, bensì fare propri ed utilizzare i modelli e i canoni estetici degli artisti antichi, in un processo catartico di produzione del nuovo e del moderno. Ed infatti, il neoclassicismo è a tutti gli effetti uno stile moderno, come moderna è la neoclassica estetica del sublimeche si riassume in superamento della contemplazione, con un forte coinvolgimento spirituale e sentimentale nel godimento della bellezza.  

Il neoclassicismo nacque per reazione al rococò, ma divenne ben presto uno stile profondo, portatore di alti valori etici e morali, avversatore dei dogmi e dell’ignoranza, della superstizione e della dissolutezza. Il suo decadimento fu dovuto alla banalizzazione che ne fu fatta nel periodo napoleonico, ribassandolo a stile celebrativo e retorico, rappresentativo della grandeur imperiale. Cosa questa che favorì la graduale affermazione del romanticismo anche in chiave antifrancese. Molti pensano, sbagliando, che neoclassicismo e romanticismo siano due contrapposte e del tutto differenti correnti artistiche. Per come la penso io, il romanticismo fu l'evoluzione naturale del neoclassicismo, che aveva esaurito ben presto i suoi temi e la sua linfa innovativa. Sia l'uno che l'altro movimento procedettero insieme per un certo periodo ed ebbero molto in comune, compresa l'estetica del sublime. Erano, in buona sostanza, quasi due facce della stessa medaglia, rappresentavano entrambe quel mondo e quella società moderna che stavano nascendo impetuosamente, e spesso una corrente sconfinava e si cibava nell'altra, o la negava con violenza, dimostrano implicitamente di riconoscerla come riferimento importante. Diversi erano però e i temi e la rappresentazione degli stati d'animo. Diversa era la visione dell'uomo, che stava diventando l'unico libero padrone delle proprie idee e delle proprie creazioni.     


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© GIUSEPPE LUCIO FRAGNOLI


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