FAMIGLIA DI SALTIMBANCHI di PABLO PICASSO

 


Pablo Picasso, Famiglia di saltimbanchi (1905, olio su tela, cm. 212,8 × 229,6), Washington, National Gallery of Art.

Gertrude Stein, nel suo Picasso scrive:

Picasso, dunque, era tornato un’altra volta a Parigi, eravamo nel 1904 o giù di lì, e si portò dietro i quadri del periodo blu, anche un piccolo paesaggio di questo periodo dipinto a Barcellona. A Parigi ricominciò a essere un po’ francese, fu sedotto, cioè, ancora una volta dalla Francia. C’era la sua intimità con Guillaume Apollinaire, con Max Jacob e André Salmon; si vedevano in continuazione, e la sua solennità spagnolesca si ammorbidì. Col bisogno che aveva di vuotarsi di tutto, si vuotò del periodo blu e del riacquistato spirito spagnolo, poi prese a dipingere quello che oggi chiamano periodo rosa o degli arlecchini.

I pittori hanno sempre amato il circo; anche adesso il circo è rimpiazzato dal cinema e dai night clubs, amano ricordare i clowns e gli acrobati del circo. In quel tempo, almeno una volta la settimana, si trovavano tutti al Cirque Medrano. Si sentivano fierissimi di potersi mescolare ai clowns, ai prestigiatori, ai cavalli e ai cavallerizzi. A poco a poco Picasso fu sempre più francese; cominciò il periodo rosa o degli arlecchini. (...)    

Famiglia di Saltimbanchi o più semplicemente I saltimbanchi, è sicuramente il quadro più rappresentativo del cosiddetto periodo rosa o degli arlecchini (1904 -1906), che precede il periodo cubista e che segue il periodo blu (1901-1904), segnato, come lo stesso Picasso ammette, dal suicidio dell’amico Carlos Casagemas, in una visione triste e desolante dell’umana esistenza.

Alla base del cambiamento, dal periodo blu al rosa, – siamo nella primavera del 1904 e Picasso si è stabilito definitivamente a Parigi –, c’è sicuramente l’amore per Fernande Olivier e l’attrazione per il mondo del circo e dei suoi acrobati e pagliacci. Ma pure, come ha rimarcato Giulio Carlo Argan, un interesse per Degas, “per la sua inquieta ricerca plastico-disegnativa”, per Toulouse-Lautrec, “per il suo penetrante spirito di critica sociale”, per Puvis de Chavannes, “per il suo classicismo elegiaco e per l’ampio respiro delle sue grandi composizioni decorative.”

Del resto, nella città dove Picasso ha scelto di vivere e lavorare, abitando stabilmente nel famoso Bateau-Lavoir, nel quartiere di Montmartre, non mancano gli stimoli. Conosce Leo e Gertrude Stein. Vede le mostre di Van Gogh e di Seurat, la retrospettiva dedicata a Ingres e l’esposizione dei Fauves. Ma soprattutto studia Cézanne.

I saltimbanchi è un’opera che nasce come compendio di tutte queste esperienze e sperimentazioni. Nel dipinto Picasso rappresenta sei personaggi. Uno di essi, una donna seduta in terra e isolata dagli altri, messa in primo piano, guarda verso l’esterno del quadro con un’espressione seria. La sua postura è composta e aggraziata, la sua mise è sobriamente elegante, anche per via del suo cappello a tesa larga. Le sono proprie una semplice finezza e una bellezza che rimanda a paradigmi classici. Concetto, questo, non casuale e rafforzato dall’anfora alle sue spalle. La modella è probabilmente Fernande.

Poi c’è l’altro gruppo di cinque personaggi, messi più dietro, composto da un clown, da un arlecchino, due piccoli acrobati e una bambina ballerina in tutù. L’arlecchino, rappresentato di profilo, guarda verso destra, e tiene per mano la bambina, girata di spalle, che guarda a terra. Il clown, visto di tre quarti, è volto verso l’arlecchino, mentre i piccoli saltimbanchi osservano verso la figura femminile in primo piano. Tutti i personaggi rappresentati hanno espressioni serie, lievemente malinconiche, e appaiono, pur stando tutti insieme, isolati e non comunicanti tra di loro, assorti nei loro propri pensieri e sospesi nell’immobilità e nel silenzio, in una strana situazione di attesa. Sono collocati in uno spazio definito da pochi elementi: una brulla superficie terrosa e un cielo rannuvolato, dipinto sveltamente, a testimoniare la poca propensione di Picasso per il paesaggio. Si tratta in effetti di una specie di non luogo, come per significare la particolare condizione della famiglia di buffoni e giocolieri, di itineranti e di esclusi dalla convenzionale società, vestiti soltanto dei loro abiti di scena, luogo unico ma fittizio della loro identità e appartenenza, chiusi in se stessi, nel loro mondo chiuso. Nella figura del buffone si potrebbe riconoscere il ritratto del poeta Apollinaire. In quella di Arlecchino si ravvisa invece l’autoritratto di Picasso. Non è casuale la scelta dell’autore di identificarsi nella maschera italiana della commedia dell’arte: l’artista, come arlecchino, si era cucito addosso un nuovo vestito dagli stracci della sua modesta condizione.

Nel periodo rosa il rosso, l’ocra, il rosa erodono gli azzurri e i blu, ma non realizzano un colorismo vivo e variegato, bensì un cromatismo alquanto ridotto, misurato, ma ben armonizzato, in cui prevale sempre il senso della linea e del disegno accurato, in un effetto di equilibrio complessivo dell’immagine, di cui Picasso è maestro indiscusso.   

           
 
Arlecchino visto da Paul Cézanne


Arlecchino di Pablo Picasso



IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI. 


© G. LUCIO FRAGNOLI

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