IL CRISTO GIALLO di PAUL GAUGUIN
Paul
Gauguin (1848 -1903), Il Cristo giallo (Le
Christ jaune) – 1889, olio su tela, 92 x 73 cm – Buffalo, Albright-Knox Art
Gallery.
Gauguin si è creato da sé la propria leggenda: la leggenda dell’artista che si mette contro la società del proprio tempo e ne evade per ritrovare in una natura e tra genti non guaste dal progresso la condizione di autenticità e d’ingenuità primitive, quasi mitologiche, in cui può ancora sbocciare il fiore, orami esotico, della poesia, che il clima dell’Europa industriale uccide. (Giulio Carlo Argan)
ANALISI DELL’OPERA
Il
Cristo giallo, fu dipinto da Paul Gauguin nel suo terzo
soggiorno in Bretagna. L’artista vi aveva soggiornato la prima volta
nell’estate 1886, prendendo alloggio alla pensione di Marie-Jeanne Gloanec, che
era un vero e proprio ritrovo di artisti. Ci era ritornato per la seconda volta
nella primavera del 1888, sempre alloggiando dalla locandiera Marie-Jeanne
Gloanec, dove aveva conosciuto il giovane pittore Émile Bernard (1868 – 1941),
dal quale aveva appreso lo stile del cloisonnisme –
da cloison (partizione, separazione) –, basato su zone di colore uniforme
chiuse da una netta e composta linea di contorno. Tale stile Bernard lo aveva ripreso,
oltre che dagli smalti di Limoges, soprattutto dalla tecnica di realizzazione delle
vetrate gotiche, nelle quali i vetri colorati sono inseriti in intelaiature di
piombo, che appaiono come spesse linee di disegno scure che chiudono i colori e
li separano pertanto l’uno dall’altro. Gauguin aveva acutamente sperimentato
questo stile nel dipinto La visione dopo il sermone, avvalendosi anche
dello studio delle stampe giapponesi, nelle quali prevale la ricerca di una linea
disegnativa elegante e armonica, che circoscrive sempre il colore, non
indebolito dalle ombre e dal chiaroscuro. La scelta della linea, la più
fluida e armoniosa possibile, caratterizza quindi le immagini pittoriche
giapponesi, che sono essenzialmente concettuali e rievocative rispetto alla
realtà rappresentata.
Nel
1889, dopo la conflittuale convivenza con Van Gogh ad Arles, Gauguin ritorna per
la terza volta in Bretagna, preferendo la quiete del villaggio marino di Le
Pouldu al viavai di Pont-Aven, dimorando nella locanda di Marie Henry, il Cabaret
de la Plage, della quale usa la sala da pranzo come studio. In una lettera
inviata alla moglie, considera, serenamente: Sono sulle rive del mare, in una
pensione di pescatori, vivo come un contadino, soprannominato il selvaggio.
È proprio in questo periodo che dipinge il quadro che esprime compiutamente il
suo stile, ormai maturo, e la sua visione, Il Cristo giallo, firmato e
datato.
L’opera
rappresenta il momento in cui alcune contadine bretoni, dopo una lunga e
faticosa giornata di lavoro nei campi, si raccolgono in preghiera intorno a un
crocifisso, ripetendo un rito abituale, che il pittore ha certamente osservato
varie volte. È l’ora dell’angelus, sicuramente, quello della sera, si capisce
dal cielo venato dai colori del tramonto e percorso da lembi di nubi
orizzontali, sottili e leggere.
Le
contadine bretoni, nei loro abiti caratteristici, hanno il capo chino e le mani
giunte. Stanno pregando intorno a un crocifisso messo lungo un viottolo tra i
campi, una di loro è colta di spalle, un’altra frontalmente, un’altra ancora di
profilo, evocando il gruppo delle pie donne, affranto ai piedi della croce con
sopra Gesù morto, in una tangibile ripetizione dell’episodio di pietà. Su di
loro si erge il crocifisso – per il quale Gauguin si ispira a un antico crocifisso
ligneo conservato nella chiesa gotica di Trémalo, a poca distanza da Pont-Aven –,
che appare leggermente dissimmetrico rispetto alla scena di cristiana
devozione. Ma stranamente il Cristo di legno, inchiodato su una croce di legno,
ha le membra dipinte di giallo, come la campagna circostante, ammantata dei
colori della tarda primavera, tinta del colore del grano maturo, a indicare la
schietta e incrollabile religiosità e l’amore per la propria terra della gente
bretone. Tra le linee lievemente ondulate del paesaggio che si estende dietro
il crocifisso e le contadine, si distingue una rada vegetazione d’un inconsueto
color ocra o rosso, in una visione marcatamente antinaturalistica e simbolica,
ovviamente. Ma anche spirituale. Io sono convinto che il forte impiego del
giallo, stia a significare il colore del grano, e quindi il pane, che si
associa al rosso delle chiome degli alberi, al colore rosso del vino, per alludere
al corpo e al sangue di Gesù, al sacramento dell’eucarestia, in cui si attua la
comunione dei fedeli col Cristo.
Nel
Cristo giallo, fondamentalmente, l’immagine è organizzata su due piani
principali: un primo piano, quello delle figure; un secondo piano, quello del
paesaggio. Ma, dentro il paesaggio, poco lontano si vede un basso muro a secco,
che un contadino sta scavalcando, per raggiungere altre due contadine che
ritornano, come lui, verso le case.
Nella
rappresentazione del crocifisso e dei personaggi il pittore utilizza
un’accentuata linea di contorno, specialmente nella figura del Cristo, dal cui
corpo la morte sembra aver cancellato i segni del supplizio subito – la ferita
al costato, infatti, è appena percepibile –, per trasportarlo in una dimensione
di non dolore e di sonno eterno. Nelle figure delle contadine la linea di
contorno si attenua molto, ma diviene ancor più interessante, dato che diventa delicata
e semplificatrice; diviene in altro termine, sintetica, separando dal superfluo
soltanto l’essenziale. All’interno della linea il colore è fitto e piatto, non
descrittivo e mentale, privo di chiaroscuro e ombreggiature, con la materia
pittorica stesa senza rilievo, livellata sul piano della tela.
La
rappresentazione del paesaggio è davvero interessante, chiaramente antinaturalistica
e alquanto appiattita, in cui ogni elemento proprio della natura bretone è
disegnato trascendendo la stessa, ripensato mentalmente e sostituito
all’originale. Ogni forma naturale è in pratica modificata in una forma
equivalente, ma prettamente concettuale, sintetica, per usare un termine già
spiegato. Gauguin è importante per questo, anticipa l’utilizzo non descrittivo
del colore, fattore di svolta dei fauves, e le forme di sintesi, anticipando
almeno i principi generali del cubismo sintetico. Per di più ispira apertamente
i simbolisti.
In definitiva, quello di Paul Gauguin è uno stile molto elaborato, che si avvale di diverse scelte stilistiche, tenute insieme e armonizzate dalla grande sensibilità creativa dell’artista e dell’uomo insieme. La prima importante scelta stilistica di Gauguin riguarda il recupero della bidimensionalità dell’immagine, indispensabile a creare quel sofisticato senso simbolico e di astrazione che hanno tutte le sue opere. La bidimensionalità e dunque il principio primario della sua particolare visione, dentro cui si concretizzano tutti gli accorgimenti stilistici già osservati, e che è inutile ripetere – ma guai a parlare di tecnica, essa come diceva il grande Roberto Longhi, finisce dal droghiere, dove si comprano i colori –.
Paul
Gauguin, La visione dopo il sermone (1888), olio su tela (73 x 92
cm.), Edimburgo, National Gallery of Scotland.
Paul
Gauguin, Autoritratto.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
PIERO ADORNO, L’arte italiana. Dal Settecento ai nostri giorni, Vol. 3. Casa editrice G. D’Anna, Messina Firenze,1994.
G. C. ARGAN, Storia dell’arte italiana, Vol. 3°, 1993, Sansoni, Milano.
CRICCO
– DI TEODORO, Itinerario nell’arte,
Vol. II, 2012, Zanichelli, Bologna.
AUTORI VARI, Storia
universale dell’arte. Il XX secolo. De Agostini, Novara,1991.
IL
POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO,
DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
©
G. LUCIO FRAGNOLI
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