FANCIULLE SULLA RIVA DEL MARE di PIERRE PUVIS DE CHAVANNES

 

Pierre Puvis de Chavannes (1824 -1898), Fanciulle in riva al mare (Jeunes filles au bord de la mer), 1879, olio su tela, 61 x 47 cm – Parigi, Museé d’Orsay.

Pierre Puvis de Chavannes, Fanciulle in riva al mare, Particolare.

Pierre Puvis de Chavannes è artista della sottrazione, della semplificazione, inventore di motivi che sembrano venire dal fondo eterno della tradizione. La poesia parnassiana, con l’evocazione di un’Ellade intesa come immagine di un passato innocente, è per lui esempio suggestivo. Il richiamo di una perduta età dell’oro si veste del sentimento di vaga malinconia che pervade le Egloghe virgiliane. Lecomte de Lisle ne individua la lontananza e Baudelaire canta “là tutto non è che ordine e bellezza/lusso, calma, voluttà”. Il repertorio arcadico, parnassiano, classicheggiante è convenzionale, ma per Puvis, maestro sapiente, maestro ingenuo, il soggetto è supporto di inquietudini e malinconie che additano una sensibilità nuova. La semplificazione armonica del ritmo, delle superfici dei volumi, delle relazioni cromatiche esprime inoltre la ricerca di una condizione umana che tende all’assoluto. Emerge l’originalità di tele fuori dal tempo, estraneo a ogni moda, ed è proprio la loro estraneità che può essere considerata tratto simbolista, insieme all’aspetto liberatorio della loro classicità. Un sogno dell’età dell’oro si realizza in casta astrattezza, in simbolica armonia tra figure e paesaggio. (Maria Teresa Benedetti, in Artedossier)   

ANALISI DELL’OPERA

Fanciulle in riva al mare è sicuramente l’opera più conosciuta di Pierre Puvis de Chavannes. Si tratta di un quadro di piccole dimensioni – un capolavoro, ovviamente –, in cui l’artista rappresenta tre giovani donne in riva al mare, ma in una visione assolutamente idealizzata, dove i personaggi e lo spazio in cui essi sono disposti sono immaginati in una dimensione evocativa e sottilmente misteriosa.

Il luogo è definito in modo essenziale – mentale, soprattutto –: il mare blu appena increspato, con piccole onde che schiumano sulla battigia; il cielo tinto di grigio e venato di rosa, all’ora che precede il crepuscolo; una duna alta e obliqua, oltre la quale si scorge la piana riva sabbiosa.

Sul suolo renoso e arido spuntano qua e là delle esili piante selvatiche dai piccoli fiori bianchi, alcune delle quali sono rinsecchite, mentre nel cielo e sull’acqua volano gabbiani, appena visibili, che sembrano ombre di se stessi sospese nell’aria, senza alcun effetto di moto, in una parca e cerebrale rappresentazione della natura. È un paesaggio primitivo e mitico insieme, un paesaggio marino di un’epoca passata, letterario ed evocativo di partenze per gesta eroiche, di penose attese e di agognati ritorni.

Le tre giovani donne, dai chiari e morbidi incarnati, fanno parte di tale mondo mitologico e di una qualche storia ad esso legato. Una di loro è seduta in terra, in primo piano, col seno nudo, appoggiata col capo su un sasso che emerge dalla rena, in un’espressione di malinconia e in una postura di particolare garbo. Appena dietro di lei c’è la figura di una seconda giovane, distesa sulla sabbia, di cui si vede solo il busto, pure lei assorta e malinconica. Ma il personaggio che polarizza l’attenzione del riguardante è la fanciulla vista di spalle, statuaria e misteriosa, che si acconcia i capelli con le mani, in una postura composta e in una leggiadria di gesti. Le tre donne dal bacino e dalle gambe avvolte in bianchi panneggi, caste e sacrali come sacerdotesse, fascinose e languide come ninfe, rimandano alla classicità greca o, meglio, a una civiltà nobile e antica, all’epoca magica dei miti e delle leggende, al tempo della poesia e della bellezza.

Ma tutta l’immagine è una celebrazione estetizzante, in cui l’artista dosa e calcola perfettamente ogni elemento: il colorismo contenuto, quasi avaro, ma puro, di latente raffinatezza; un contorno delle forme femminili delicato e sintetico, di assoluto garbo e morbidezza disegnativa, che rimanda alla statuaria ellenistica e alquanto alla pulita linea ingresiana; un effetto combinato di bidimensionalità e profondità, la prima subito percepibile, la seconda di intellettiva sensazione; l’eliminazione del superfluo in un’idea di assoluto equilibrio. Non a caso Puvis de Chavannes influenzerà artisti come Matisse e soprattutto il Picasso del periodo blu.

Pierre Puvis de Chavannes

IL SIMBOLISMO 

Il Simbolismo è dapprima un movimento letterario che nasce ufficialmente nel 1886, col Manifesto Simbolista di Jean Moréas, e che ha come punti di riferimento Baudelaire, Verlaine, Mallarmé. Tale corrente, che recupera molti degli ideali romantici, si oppone al materialismo e al razionalismo dell’epoca industriale, rivalutando la fantasia e l’immaginazione contro la noiosa realtà utilitaristica del tempo. Il mito, il mistero, il sogno, l’onirico, la suggestione, l’ideale, l’evocazione sono alla base della poetica surrealista. L’arte, afferma il pittore Redon, “allo stesso modo della musica si colloca nel mondo antico dell’indeterminato (…) Bisogna tentare di superare, illuminare o ampliare l’oggetto e innalzare lo spirito verso il turbamento dell’irresoluto e la sua deliziosa inquietudine”. Lo spiritualismo della pittura simbolista si contrappone quindi alla tendenza realistico-conoscitiva di Courbet e di Cézanne, recuperando l’idealismo formale di Ingres. Il Simbolismo, ha scritto Giulio Carlo Argan, “distingue il bello dagli aspetti visibili della natura, nella natura stessa ricercando però, sotto o sopra al di là di quegli aspetti, un bello che si rivela solo alle anime belle, agli artisti. Si ricollega così alla poetica del sublime, al deliberato arbitrio fantastico di Blake e di Füssli, alla trasfigurazione del paesaggio di Turner; e si raffina attraverso la sensitività allarmata, tra estasi e incubo, della poesia di Baudelaire e, per suo tramite, della prosa poetica di Poe.       

Il Simbolismo – ha scritto Piero Adorno – è principalmente una corrente letteraria che si oppone al naturalismo e che fa capo a poeti come Baudelaire, Verlaine, Mallarmé, Villiers de l’Isle-Adam. Ad essi si accostano molti pittori postimpressionisti, nel tentativo di superare la rappresentazione dell’oggetto esterno, per sostituirla con l’espressione del proprio «io», sia pure sotto lo stimolo della realtà concreta. (...) Poiché la pittura è, almeno fino a quest’epoca, legata alla necessità di rappresentare qualcosa, essi cercano di liberarla dalla schiavitù dell’oggettivismo, eludendo volutamente le leggi tradizionali prospettico-volumetriche, creando accordi reciproci di linee e di colori ed emulando, per analogia, la libera e soggettiva concretizzazione dei suoni musicali. Canoni fondamentali del Simbolismo, sono, secondo la definizione che ne diede un critico: «l’ideismo» («espressione delle idee per mezzo delle forme»); la «sintesi» (per meglio suggerire l’evocazione, i simboli dovranno essere ridotti alla loro essenza); il «soggettivismo» («l’oggetto non sarà mai considerato in quanto tale, ma come segno dell’idea concepita dal soggetto»); «l’emotività»: il «decorativismo» (la pittura decorativa antica – egizia, greca, primitiva – era «soggettiva, sintetica, simbolista, idealista»).         


 Pierre Puvis de Chavannes, Il sogno.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

 

MARIA TERESA BENEDETTI, Simbolismo, Artedossier, Giunti, Firenze, 2016.

PIERO ADORNO, L’arte italiana. Dal Settecento ai nostri giorni, Vol. 3. Casa editrice G. D’Anna, Messina Firenze,1994.

G. C. ARGAN, Storia dell’arte italiana, Vol. 3°, 1993, Sansoni, Milano.

AUTORI VARI, Storia universale dell’arte. Il XX secolo. De Agostini, Novara,1991.

 

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI. 

 

© G. LUCIO FRAGNOLI

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