METROPOLIS ( o LA GRANDE CITTA') il trittico capolavoro di OTTO DIX

  


Otto Dix (1891 -1969), Metropolis (trittico)– 1927-1928, tecnica mista su legno, pannello centrale 181 x 200 cm, panelli laterali 181 x100 – Stoccarda, Galerie der Stadt.


ANALISI DELL’OPERA

Metropolis, che può essere considerato il grande capolavoro di Otto Dix, è sicuramente l’opera più conosciuta dell’artista tedesco e anche quella che, per comune convincimento, meglio lo rappresenta. Si tratta di un trittico eseguito su tre pannelli di compensato, dei quali quello centrale (181 x 200 cm) è esattamente il doppio dei laterali (181 x100). Esso è conosciuto anche col titolo La grande città, dove la città evocata è Berlino. Siamo al tempo della Repubblica di Weimar – dal nome della città ove si riunì l’assemblea nazionale, nel 1918, che concepì una nuova costituzione –, dopo la scioccante sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, con le conseguenti umilianti condizioni imposte col successivo trattato di Versailles del 1919. Il nuovo stato liberale che ne nacque, dopo la disfatta della coalizione di governo alle elezioni del 1920, precipitò in una grave crisi politica, che non poté fronteggiare gli squilibri sociali e la crisi economica, favorendo l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933.

Nel trittico Metropolis Otto Dix, su tre diverse riquadri lignei, realizza tre spaccati di vita berlinese, che vanno osservati e spiegati partendo da quello centrale. La prima scena di vita si svolge all’interno di un tipico cabaret, dove un’orchestra jazz sta eseguendo un brano sicuramente ritmato. Questo si desume dai movimenti sciolti degli strumentisti e dalle movenze convulse della coppia di ballerini che occupa il centro della pista, come pure da quelle della donna in piedi nella pista, che ballonzola da sola, seguendo il ritmo. Dietro di lei ci sono un gentiluomo con la sua signora seduti a un tavolo, che guardano verso l’orchestra, con espressioni affettate, meno coinvolti dal swing. In secondo piano si muove tutta una serie di vitaioli che partecipano compiaciuti all’allegra serata musicale. Lo spazio del locale è descritto da pochi elementi: le pareti rosse, il pavimento di parquet e un drappo broccato; bastevoli per far capire che si tratta di un locale alla moda, un posto per danarosi. Diversa, invece, è la descrizione dei personaggi, perfettamente studiata e minuziosa, attenta a far risaltare la loro provenienza sociale e il loro capriccioso edonismo, le loro eccentriche personalità. La figura femminile in piedi sulla pista è riccamente ingioiellata ed è vestita in modo assai ricercato, con un abitino corto e scollato, impreziosito di brillanti e una spilla di preziosi in forma di farfalla, cui si agganciano due svolazzi di stoffa a piegoline. Si corona la testa con un bizzarro ventaglio piumato, che meglio ne definisce l’iconografia di improbabile ed egocentrica menade dell’opulenta società. Intorno a lei, messa a far da perno della messinscena pittorica, ruotano tutti gli altri ricchi e spensierati gaudenti, rappresentati da Dix come caricature di sé stessi, lontani da una storia che si sta compiendo inesorabilmente, ma che sembra non appartenergli. Nella scena del ballo e dell’allegria l’artista tratteggia satiricamente già tutti i germi della decadenza.

Fuori tutto cambia, nello stesso preciso momento, nel corso della stessa dilettevole serata. In contemporaneità, infatti, nel pannello di sinistra, il pittore rappresenta un vicolo malfamato, un quartiere a luci rosse, gremito da prostitute scollacciate in cerca di clienti, mentre passa un soldato dalle gambe mutilate, contro cui s’avventa un cane. Si tratta di un reduce della Grande Guerra, l’immane disastro che ha sconvolto l’Europa, di cui ancora sopravvivono gli effetti infami. Una prostituta si volge verso di lui, in un atteggiamento derisorio. La guerra ha fatto di un uomo dignitoso una creatura mostruosa, oggetto di disprezzo. Un secondo uomo giace in terra nella comune indifferenza. È ubriaco, forse. O morto, addirittura, ma nessuno se ne cura.

Nel pannello di destra, la scena diventa del tutto surreale. Una sfilata di strani personaggi, tutti femminili, sale e scende per una scalinata allato di una quinta strampalata di elementi architettonici montati in modo illogico. Un mendicante dalle gambe mutilate e la faccia sfigurata, coperta da una maschera, è buttato in terra, nella insensibilità delle strane figure, delle quali alcune sono mascherate. Talune di esse guardano fuori del quadro, verso lo spettatore, incutendo un sottile senso di sgomento, per come sono grottesche e insieme raccapriccianti. Sembra un andirivieni da una torbida e peccaminosa festa in maschera. Nelle tipe mascherate e nelle strambe figuranti, Dix raffigura certamente un’umanità sordida e bestiale, allontanatasi dalla serietà della vita e dalla luce della ragione. La visione in Metropolis è straordinariamente espressionista, con scelti accenti realistici, e sconfinante in una melmoso surrealismo.



Otto Dix, Autoritratto (1942) 



Otto Dix, Metropolis, disegni preparatori dei panelli laterali.


LA NUOVA OGGETTIVITÀ 

Negli anni della Repubblica di Weimar (1918 -1933), operò in Germania un nuovo e variegato gruppo di artisti, che, dopo l’esposizione di Mannheim del 1925, fu riconosciuto come fortemente rappresentativo della nuova pittura con l’appellativo di Neue Sachlichkeit, traducibile in italiano con Nuova Oggettività. Gli artisti di spicco della Nuova Oggettività furono George GroszOtto Dix e Max Beckmann. 


Otto Dix,Trionfo della morte – 1954, tecnica mista su legno, 180 x 178 cm, Stoccarda, Galerie der Stadt.

VITA IN BREVE DI OTTO DIX 

Nato a Gera, nel 1891, Otto Dix studiò alla Scuola di Arti e Mestieri di Dresda. Combatté la Grande Guerra (1914 – 1918) i cui orrori lo colpirono profondamente, inducendolo ad assumere una posizione antimilitarista e pacifista. Negli anni che vanno dal 1918 e il 1922 partecipò al Nevembergruppe, un’associazione avanguardistica di artisti, e alla Fiera del dadaismo di Belino (1920). Dal 1925 fu uno dei grandi protagonisti della Neue Sachlichkeit, Nuova Oggettività. Fu professore, dal 1927, dell’Accademia di Dresda, da cui allontanato dai nazisti nel 1933, con la mortificante classificazione di artista degenerato. Trovò rifugio a Hommenhofen, sul lago di Costanza, dove dipinse principalmente paesaggi, fino al 1939, quando fu arrestato con l’accusa di aver preso parte a un attentato a Hitler. Partecipò anche alla seconda guerra mondiale, nel corso della quale fu fatto prigioniero dai francesi, che lo liberarono nel 1946. Si spense a Singen, nel 1969. 


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

 

PIERO ADORNO, L’arte italiana. Dal Settecento ai nostri giorni, Vol. 3. Casa editrice G. D’Anna, Messina Firenze,1994.

AUTORI VARI, Storia universale dell’arte. Il XX secolo. De Agostini, Novara,1991.

EVA KARCHER, Dix. Taschen, Monaco di Baviera,1991.

 

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI. 

© G. LUCIO FRAGNOLI

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