LA CANESTRA DI FRUTTA del CARAVAGGIO


Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Milano1571- Porto Ercole16010)

LA CANESTRA DI FRUTTA (Ca. 1595 -1601)

Olio su tela cm.47 x cm. 62

Pinacoteca della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, MILANO.

 

LETTURA DELL'OPERA

 

In un canestro di vimini ben intrecciati, posata su un piano di legno, ma leggermente aggettante, coi loro peduncoli e con le loro foglie son disposti dei frutti agostani e settembrini: dei fichi, dei grappoli d'uva, un melocotogno, una pesca, una pera, una mela.

Ai frutti, sapientemente posizionati nel cestello, per ottenere una composizione armoniosa e accattivante, fa da sfondo una parete gialliccia. L'immagine è realizzata con precisione fotografica e con un impressionante realismo. L'utilizzo di una luce intensa, che proviene quasi frontalmente, serve a conferire struttura formale e volume, in un cromatismo ricco ma rigorosamente naturale.

Il quadro è di una qualità suprema per piacevolezza e vivezza del soggetto rappresentato, che gli fa reggere il confronto con temi di più complicato concepimento. Esso, dunque, ci manifesta senza possibilità di equivoci l'originalità di pensiero del pittore lombardo, che consiste nel riporre sempre la medesima attenzione per qualsiasi cosa o circostanza che possa essere dipinta. La natura morta, che in questo caso non si presta a interpretazioni allegoriche e nemmeno cristologiche, assume con Caravaggio la stessa importanza della pittura sacra, di quella mitologica e di altri sofisticati argomenti, precedendo e favorendo anche la piena rivalutazione della pittura di genere. Ma la Canestra è anche una seria riflessione dell'artista sulla corruttibilità della natura e sulla caducità della vita, che si coglie nelle foglie avvizzite o nella mela bacata, nonché un chiaro e personalissimo enunciato estetico, secondo cui pure la bellezza è futile e vana.   


© Giuseppe Lucio Fragnoli


Ritratto di Caravaggio eseguito da Ottavio Leoni. 



Lo squisitissimo commento del maestro Bernard Berenson 

sulla Canestra e sul genere della natura morta 


(...) Osserviamo per primo un canestro di mele, fichi e uva, con le loro foglie, che ora si trova all'Ambrosiana, a Milano. Ambra e miele, porpora e verde, bruni, rosa, distinti eppure fusi in una musica sola; grappoli perlacei, turgidi pomi, fichi prossimi a scoppiare, foglie ancora fresche ed erette, altre, altre già languenti e appassite, ma egualmente precise, nei loro contorni, come gioielli. Eleganza in ogni ramoscello, in ogni gambo, in ogni nervatura.

Notate Bene: vi è appena un timido accenno a un piano su cui il canestro riposi, e nessuna indicazione di spazio, nemmeno di uno spazio vuoto: poco più che in una pittura cinese di fiori.

 

(...) Nell'arte occidentale dal Trecento in poi, i fiori rallegrano le pergamene miniate e adornano più di una pala d'altare dell'Angelico o di Gentile da Fabriano. La Frutta attirò prima gli scultori. Donatello la introdusse a Padova, e Mantegna, Tura, Crivelli e seguaci ne inghirlandarono le loro pitture. I fiori, di preferenza, spuntavano da calici e vasi. E ovunque pendevano, in bella mostra, drappi damascati, venuti forse dalla Cina remota, sostituiti poi dai tappeti di Turchia. Tutti i pretesti erano buoni per dipingere ciò che adesso porta il nome di "natura morta". La tecnica era abbastanza progredita da permettere all'artista ogni impulso a ritrarre ciò che gli interessava, senza curarsi di significati simbolici o morali. E tuttavia nessuno nessuno pensava, o si arrischiava, a dipingere quegli oggetti in sé e per sé, e non come accessori ornamentali di soggetti sacri. Forse nel Nord ciò avvenne assai prima: ma in Italia la natura morta si rese indipendente assai tardi, assai dopo il ritratto, primo a emanciparsi, e poco prima del paesaggio, che fino all'Ottocento non osa presentarsi senza un qualche debole riferimento ad una storia (...).

Bernard Berenson, Del Caravaggio Delle sue incongruenze e della sua fama, Leonardo Editore - Milano -1994.


Bernard Berenson (1865 - 1959) raffinato critico d'arte e scrittore, nacque in Lituania ma si trasferì negli Stati Uniti nel 1875 dove si laureò nel 1887. Arrivò in Italia con una borsa di studio, stabilendosi definitivamente a Settignano, nel 1900.

Ha scritto, inoltre: Pittori italiani del Rinascimento (1930); Metodo e attribuzione (1926); Disegni dei pittori fiorentini del Rinascimento (1903); Lotto (1895); Estetica, Etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva (1948); Viaggio in Sicilia (1958). 

 

 


Breve saggio critico

 

La natura morta assurge a genere colto e pregiato

 

La Canestra di frutta è un quadro sorprendente, che il Caravaggio dipinse per il Cardinal Del Monte, il quale lo donò, come ringraziamento, al Cardinale Federico Borromeo, secondo un'opinione comune a molti storici dell'arte, per i buoni uffici ricevuti.

È ancora più plausibile che il Borromeo entrò in possesso della preziosa tela acquistandola direttamente dal Merisi — come ha sostenuto Roberto Longhi — nel 1595, considerando che il cardinale soggiornò a Roma dal 1586 al 1595, anno nel quale gli fu assegnato da Clemente VIII l'arcivescovado di Milano e, ritornato a Roma nell'aprile del 1597, vi restò fino al maggio del 1601.

Il Borromeo abitava nel palazzo del Marchese Giustiniani, a pochissima distanza da palazzo Madama, residenza del Cardinal Del Monte, dove alloggiava il Caravaggio e quindi, quasi sicuramente, forse anche tramite il Giustiniani, i due ebbero modo di conoscersi.

Rafforzando l'ipotesi del Longhi, Maurizio Calvesi — per le ragioni innanzi dette e posticipando quindi la datazione del dipinto al 1600 circa, pure in virtù di pertinenti considerazioni stilistiche — sostiene anch'egli che la celebre Canestra fu comprata al Merisi dal Borromeo, ma ciò naturalmente avvenne nel secondo soggiorno romano dell'eminente ecclesiastico, presumibilmente tra il 1600 ed il 1601.

Si sa inoltre che Federico Borromeo amava in modo particolare il genere della natura morta e che acquistò pure due dipinti raffiguranti vasi di fiori di Jan Brueghel, ma da uomo di finissimo ingegno e di ampia cultura quale egli era, celebrò più di ogni suo quadro la Canestra, per la sua “bellezza e l'incomparabile eccellenza”.

La Canestra fu dipinta dal Caravaggio sopra una tela già usata dall'amico Prosperino delle Grottesche, sulla quale quel “tristo” aveva eseguito appunto una grottesca.

La natura morta più famosa di tutti i tempi è allo stesso modo anche la più ammirevole e rappresenta il primo importante esempio di natura morta concepita come genere autonomo, sebbene non manchino precedenti lombardi o fiamminghi, i quali tuttavia, venivano eseguiti nell'ottica di “genere minore” con tutte le conseguenziali limitatezze.

Il Merisi realizzò la sua composizione di frutti in polemica con quel tipo di pitture, provocatoriamente annullando la distinzione tra una natura superiore, quello dell'uomo, ed una natura inferiore, quella della frutta.

Una volta, infatti, il Caravaggio, rivolto al marchese Giustiniani, affermò che “tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure”, enunciando in questo modo il suo pensiero di “eretico” della pittura, che consisteva nel riporre sempre la medesima attenzione verso qualsivoglia soggetto.

Nella Canestra il Marangoni ha notato i chicchi d'uva di “iperbolica sfericità, frutti di perfetta tornitura, foglie polite e metallicamente stagnanti sul fondo”, evidenziando l'altissima qualità dell'immagine, mentre il Calvesi ha intuito che è la luce l'elemento risolutivo dell'opera: “La luce, che sembra innaturalmente provenire da più fonti, è come un alito vivificante, che muove le foglie e i tralci, e il colore è anche profumo”.

Nella Canestra il genere “supera se stesso e il quadro rappresenta valori assoluti, che non stanno soltanto in una possibile interpretazione allegorica, ma in una restituzione totale del reale che è tale e quale che sia il soggetto rappresentato, ha scritto Vittorio Sgarbi, il quale pure aggiunge: “Il vero della frutta è il vero dell'uomo. Per questo è così importante la Canestra dell'Ambrosiana, per questo non è soltanto una natura morta, ma un manifesto del pensiero moderno, la testimonianza del compimento della rivoluzione copernicana anche nella pittura”.

Nei dipinti giovanili come il Bacco degli Uffizi e il Ragazzo morso da un ramarro, il Caravaggio aveva già in parte anticipato il suo “pensiero moderno”, avendo abbinato a delle figure di adolescenti a cestelli ricolmi di invitanti frutti, in un rapporto — scusatemi l'espressione — di pari dignità. In particolare, nel dipinto Ragazzo con canestro di frutti lascia chiaramente capire l'annullamento di ogni differenza gerarchica in natura.

Nella Canestra dell'Ambrosiana l'artista non reputa più necessaria la presenza dell'uomo, ma vi è compiutamente espresso il senso dell'intera madre natura, come creatrice della vita.

Il Calvesi osserva come i frutti contenuti nel cestello sembrino emanare non solo il profumo, ma ogni altra qualità, compresa la succulenza e persino il sapore.

Fagiolo Dell'arco, invece, ha ravvisato nelle foglie avvizzite, nella mela bacata, la simbologia della corruttibilità della natura, interpretando il quadro come una “riflessione sulla vita e sulla morte”.

Questa interpretazione del dipinto non è giusta e interessante, ma io sono più disposto a pensare che il genio lombardo ha voluto proporci la sua idea di mondo reale, la sua verità sulla natura, ossia di una natura imperfetta, in certo modo difettosa, cagionevole e caduca.

Come ho sopra esposto nella lettura dell'opera, Caravaggio nella Canestra ha voluto esporre, come in molti altri dipinti, in modo chiaro ed inconfutabile la sua visione estetica, la sua idea sulla bellezza, che reputava sfuggente ed effimera, come la stessa esistenza, del resto.

Si spiegano così, secondo il mio pensiero, la sua insoddisfazione, le sue inutili bravate, la sua inquietudine.


Bacco degli Uffizi.

Bacchino malato.











               

  © Giuseppe Lucio Fragnoli




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