LA MORTE DELLA VERGINE del CARAVAGGIO

  

Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Morte della Vergine (1606), olio su tela (369 cm × 245 cm), 

Musée du Louvre, Parigi.

 

 

La morte della Vergine, realizzato tra il marzo-aprile e il maggio del 1606, è l’ultimo quadro dipinto a Roma dal Caravaggio. L’opera, dalle notevoli dimensioni (si tratta della più grande tela romana dell’artista), gli fu commissionata dai Carmelitani Scalzi per la cappella Cherubini, nella chiesa di Santa Maria della Scala nel rione di Trastevere, per conto dell’avvocato Laerte Cherubini da Norcia. Purtroppo, anche per questo dipinto, dopo il San Matteo e l’Angelo di San Luigi e la Madonna dei Palafrenieri, il pittore subisce un altro clamoroso rifiuto da parte dei padri che, senza prima mostrare a nessuno il quadro, coprendolo con un telo, lo tolgono infine dalla parete.

Il motivo per il quale La Morte della Vergine viene rimosso va ricercato nel fatto che il pittore, come ci riferiscono alcuni suoi biografi, aveva “ritratto in persona di Nostra Donna una cortigiana da lui amata”(Maddalena Antonietti detta Lena), oppure “per havervi troppo imitato una donna morta gonfia”(forse una donna incinta oppure una prostituta realmente morta annegata nelle acque del Tevere), o comunque perché “aveva fatto con poco decoro la Madonna la Madonna gonfia e con le gambe scoperte” o una “meretrice sozza delli ortacci” o “qualche sua bagascia.” Certo è che un quadro comunque così inquietante, “troppo sincero per l’ipocrisia dominante”, non poteva essere accettato o compreso dai Carmelitani, che venivano reclutati negli strati socialmente più bassi della popolazione e che erano avversi a rappresentazioni realistiche come pure gli alti gerarchi della Chiesa. In quello che L. Venturi ha definito “il quadro più profondamente religioso dell’arte italiana del Seicento” è facile ravvisare una nuova concezione religiosa che, come scrive Chastel, è “preparazione, per esempio, degli sviluppi realistici dell’arte spagnola, legata ad una sorta di rinascita del pensiero francescano, come una nuova Bibbia dei poveri. Ma c’è anche nel Caravaggio, una volontà di scandalo intimamente legata al suo genio, alla sua visione cruda e violenta, senza possibili concessioni, simile a quella di un Courbet.

Il Burkhart giustamente sostiene che l’idea di Caravaggio è quella “di mostrare allo spettatore che i sacri avvenimenti del principio dei tempi non erano accaduti diversamente dal modo in cui, alla fine del Cinquecento avvenivano nelle città del sud.”

Nella Morte della Vergine la scena sembra verosimilmente tratta da una specie di vangelo popolare, perfettamente trasposto nella realtà del suo tempo, ove Maria è null’altro che una popolana appena spirata, che giace su di un tavolaccio, coi piedi scoperti, col corpo gonfio per il trapasso. In un ambiente miserando e disadorno, che riproduce fedelmente i bassi dei vicoli romani, la Madonna giace distesa senza vita su di un tavolaccio, attorniata dagli apostoli abbattuti e piangenti. Con loro piange e si dispera la Maddalena, posta in primo piano, seduta su uno scranno. Tutti gli astanti esprimono una grande sofferenza interiore, in una immagine intensa, persino solenne, di straordinaria commozione, in una dissimulata studiatezza nella disposizione dei personaggi ed in una bastevole quantità di luce, palesemente irreale, per fermare la scena nel momento di più alta drammaticità, in un alone di soprannaturalità. La luce “irrompe da sinistra nella cerchia dei colori già stranamente fiammanti”- commenta Roberto Longhi - “pur combattendo con tutte le specie dell’ombra, sosta per un attimo sul viso arrovesciato della Madonna morta, sulle calvizie lunate, sui colli pulsanti, sulle mani disfatte degli apostoli.” Qualcuno tra gli apostoli si copre il volto con le mani, che nascondono l’espressione dei volti, ma i gesti stessi esprimono pienamente il senso di angoscia che li pervade.

C’è chi nota nell’opera una evidente “teatralità per via del tendaggio disposto come un sipario e un sorta di boccascena fissato in alto dal soffitto a cassettoni. Io mi sento di escludere l’ipotesi di una impostazione teatrale, penso invece che il tendone scaturisce da un’esigenza compositiva, che ha anche lo scopo di definire la profondità spaziale dell’interno.    

Nell’opera sono ben visibili tutti gli elementi stilistici del Merisi, come il suo particolare luminismo, rigoroso e innaturale; la deliberata subordinazione della dimensione spazio-temporale alla presenza scenica dei personaggi; la studiata collocazione nello spazio del quadro delle figure, la pignoleria nella resa del reale, la sua particolare concezione religiosa, molto vicina all’ala pauperista della Controriforma, incarnata dal Cardinale Borromeo, il quale raccomandava l’assoluta sobrietà del clero e un ritorno al cristianesimo delle origini.

Giulio Carlo Argan ha definito il quadro come uno tra i più tragici e, nello stesso tempo, più polemici del Caravaggio. L’opera che i frati rimossero dall’altare perché indecorosa è invece, come sostiene pure il Venturi, un’opera profondamente religiosa, priva però di connotazioni sacrali e devozionali. Che ciò corrisponda a verità viene riconosciuto da uno dei pittori più profondamente cattolico del Seicento, lo spagnolo Zurbàran, “che ne ripete la costruzione e la struttura nelle Esequie di San Bonaventura, un’opera non soltanto religiosa ma ispirata al più stretto conformismo devozionale.”

Il quadro rifiutato, venne poi venduto, forse dallo stesso Cherubini, al prezzo molto alto di 280 scudi (la stessa somma corrisposta al Merisi). L’enorme tela fu acquistata da un critico d’eccezione come il giovane Rubens, per conto del duca di Mantova Vincenzo I, del quale egli era al servizio. Il Rubens orgogliosamente ne allestì una pubblica esposizione di una settimana di durata presso “l’università dei pittori”, ove poté essere ammirata da un folto pubblico, con il favore dell’ambasciatore di Mantova a Roma, che molto compiaciuto commentò: “certo che m’è stato di soddisfazione il lasciarla goderla a sazietà.”


 

 

© G. LUCIO FRAGNOLI


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

 

R.LONGHI, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 1968.

A.CHASTEL, Storia dell’arte italiana, Newton Compton Editori, Laterza, Bari,1993.

G.P.BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Ristampa dell’edizione romana del 1672, A,Forni Editore, S.Bolognese,1977.

M.MARINI, Caravaggio, Newton Compton Editori S.r.l., Roma, 1989.

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