TRIONFO DI VENERE di François Boucher
François Boucher (1703 -1770), Trionfo di Venere, 1740, olio su tela, 130 x 162 cm – Stoccolma, Museo Nazionale.
Il dipinto era di proprietà del conte Carl Gustaf Tessin, che lo aveva acquistato durante un soggiorno a Parigi, e che in seguito, per far fronte ai suoi problemi finanziari, vendette al re di Svezia.
Secondo
la mitologia greca, da dea orientale della fecondità, si combina col culto di
una antica divinità locale legata piuttosto alla terra. In Omero Afrodite è
figlia di Zeus e di Dione. Per Esiodo la dea
appartiene completamente al mondo greco. Infatti, egli racconta che Crono recise
il membro del dio del Cielo, Urano, impegnato in un amplesso con
la Terra. Il fallo mozzato, galleggiando sulle onde si
tramutò in candida spuma, da cui si generò la creatura divina.
Il
dipinto contiene molti elementi della visione pittorica rococò francese; ossia,
un senso di moto ampolloso e decorativo, e nondimeno vorticoso, la teatrale e
scenografica disposizione dei personaggi, il colorismo tenue e luminoso, un
evidente e gaia sensualità, la natura capricciosa e perfettamente coinvolta
nella messinscena pittorica, ma anche permeata da un forte senso di grandiosità.
In
un esuberante volteggio di amorini e nello svolazzo di un prezioso drappo, la
dea Venere, coi capelli acconciati in una coroncina perlacea, è seduta su un
trono galleggiante, su cui sono stese le proprie vesti e sulla cui base sono
appollaiati dei bianchi gabbiani. Una naiade, sollevata verso di lei da un
forzuto tritone, porge alla dea una fonda conchiglia argentea ricolma di collane
di perle per adornarsi, mentre intorno al suo sontuoso piedistallo altre naiadi
e amorini cavalcano grossi pesci e si sollazzano nel turbinio dei flutti schiumosi.
Una di esse, distesa sulla schiena e cullata dalle onde si abbandona in un
gesto licenzioso, mentre alle sue spalle un tritone apre – allusivamente,
forse? – una conchiglia, e un altro soffia in un corno, evocandone il suono
stridente nel fragore marino e in riverberi di altri suoni lontani, provenienti
dal profondo paesaggio, mitico e impetuoso, che richiama alla mente luoghi
arcaici e dominati da forze arcane. Si tratta di una rappresentazione della
natura in una dimensione di sublimità, che anticipa gli immaginifici contesti
ossianici poetati da James Mcpherson. Nella celebrazione della più bella tra le
dee, Boucher ci esorta dunque alla ricerca dell’amore, del piacere e della
felicità, o meglio, del diritto alla felicità. Tutto ciò ci fa capire come il Trionfo
di Venere sia un quadro fondamentale per cogliere correttamente il senso
veridico della pittura rococò, troppo snobbata oggigiorno nella nostra
riduttiva idea – politicamente corretta – di modernità. Tale idea, o meglio,
tale pregiudizio non ci permette di conoscere fino in fondo il XVIII secolo e i
futuri sviluppi di molti temi romantici e persino di quelli troppo attuali. Va da sé che
nel magico mondo della pittura tutto scorre in modo circolare con un ciclico ed
eterno ritorno di temi, pensieri e visioni.
VITA IN BREVE DI FRANCOIS BOUCHER
François Boucher nacque a Parigi nel 1703, figlio di un artigiano, ed ebbe come primo maestro François Lemoyne. A diciassette anni lavorò nella bottega dell’incisore Jean-François Cars, divenendo l’incisore delle opere di Antoine Watteau. Ottenne il premio dell’Accademia, nel 1723, esponendo anche un grande successo per la sua prima esposizione pubblica. Nel 1727 si recò in Italia, dove restò fino al 1731, per perfezionare la sua formazione. Nel 1734 fu ammesso all’Accademia. Dal 1740 espose regolarmente al Salon, guadagnandosi frattanto il titolo di decoratore capo della Reale accademia di Musica, dal 1744 al 1748. Nel 1765 fu nominato primo pittore, pur godendo da tempo di un alloggio al Louvre. Ma l’avversione degli intellettuali illuministi lo condannò all’emarginazione, portandolo alla tomba. Morì nel 1770.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
© G. LUCIO FRAGNOLI
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